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Di cosa si nutrono gli abitanti dell’universo fotografico? Nel Silo de I taccuini di Perec ci sono i libri, le immagini, i pensieri dei due secoli più controversi e caotici della storia. Le fotografie che sono diventate icone e quelle che sono diventate simboli. I libri e gli scrittori che devono essere letti e conosciuti, quelli che si rileggono mille volte, per tutta la vita. Ci sono i pensieri che hanno formato l’ossatura della nostra storia, giusti o sbagliati che fossero. La fotografia è entrata nella storia dell’umanità come oggetto antropologicamente nuovo. Lo ha detto Roland Barthes. Roland Barthes se ne sta nel Silo, insieme a Robert Capa, Ansel Adams, Robert Frank, Walter Benjamin, Rosalind Krauss. Nel Silo c’è chi ha posato una pietra, chi ha creato un livello di pensiero, un presupposto. Qualcosa che sia rimasto valido per decenni o che sia stato superato, ma necessariamente superato, hegelianamente. Si potrebbe dire che stiamo parlando delle basi, come quando si entra in età scolare e si comincia dall’ABC. Ma qui non si tratta di bignami, manuali, concentrati di storia, centrifughe di concetti. Si tratta delle vette. D’altra parte, se decidessi che nel Silo ci sono i manuali sorgerebbero altri problemi: di fronte a Beaumont Newhall c’è chi ripete vade retro. Prevedo dunque, che questa categoria, la quale in base a una visione occidentale dovrebbe costituire il fondamento dell’intera costruzione, finirà col riempirsi molto lentamente, con interventi minimi. Aggiungere e togliere. Scrivere, cancellare e riscrivere. Come un giardino zen.